Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/282

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SECONDO 221 aggiunse alcuni suoi versi; e lo stesso troviam nelle Vite di Paolo I (ib. p. 137) e di Adriano I (ib. p. 189), di modo che possiam dire a ragione che ai romani pontefici singolarmente noi siam debitori che questa arte non sia interamente perita. Essi però non furono i soli che la sostenessero. Giovanni Diacono nelle Vite de’ Vescovi di Napoli fa menzion di pitture di cui il vescovo Giovanni al principio del vii secolo ornò il Consegnatorio, ossia la stanza ove i neofiti battezzati si ritiravano per ricevervi la Confermazione (Script. rel. ital. t. 1, pars. 2, p. 3o 1). Nel medesimo secolo Reparato vescovo di Ravenna, per testimonio dello storico Agnello (in Vit Pontif. ravenn.), fece dipingere le immagini de’ vescovi suoi antecessori, e la sua ancora, aggiugnendo a ciascuna immagine due versi. E nel seguente secolo Potone undecimo abate di Monte Casino, come narra Leone Marsicano (Chron. Monast. Casin. l. 1, c. 10), avendo fabbricato un tempio in onore di S. Michele, ornollo d’insigni pitture, e di versi da sè composti, de’ quali alcuni ne riferisce lo stesso autore. Finalmente nell’antica Cronaca del monastero di Subiaco si narra (Script. Rer. itaL vol. 24, p. 930) che l’abate Stefano a’ tempi di Giovanni VII, cioè verso l’an 706, fé’dipinger la chiesa del monastero medesimo. VI. Io ben veggio ciò che da alcuno potrà per avventura opporsi a questa continuata serie di dipinture ch’io ho qui arrecata; cioè che tutte furon fatte in paesi che ubbidivano a’ Greci, e che perciò furon forse opera di greci pittori. Ma su qual fondamento si può tal cosa asserire? Come si pruova che greci