Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/29

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XXVIII RIFLESSIONI SULL5 INDOLE Ei non potrà almeno negare che l’ab. Cesarotti ha fatto conoscere fin dove possa giugnere la lingua italiana; che ciò ch’egli ha fatto, potevasi ugualmente fare da qualunque altro che avesse avuto ingegno e studio a lui uguale; e che se ciò non è accaduto, non deesene dar la colpa alla lingua, ma a quella, comunque vogliam chiamarla, o fatalità, o sorte , o legge di natura, per cui rari sempre furono in ogni età e presso ogni nazione gP ingegni sommi. Di fatto per qual ragione la lingua italiana non sarà opportuna ad esprimere le bellezza e i pregi di qualunque lingua e di qualunque stile? Una lingua che usando del medesimo metro può nondimeno variare P armonia per tal modo, che renda un suono totalmente diverso, ed esprima affetti totalmente contrarj, come in quelle due celebri ottave del Tasso: Sommessi accenti e tacite parole. Rotti singulti e flebili sospiri, ec. Chiama gli abitator dell’Ombre eterne Il rauco suon della tartarea li omba, cc. una lingua che nelle sole arie del Metastasio or tenere e molli, or impetuose e sublimi fa sì chiaramente conoscere la sua volubilità e pieghevolezza , perchè non sarà ella capace di ritrarre e di esprimere le bellezze e i pregi di qualunque altra lingua? Se dunque l’Italia o non ha avuti finora, o ha avuti in assai scarso numero traduttori valorosi ed insigni, non dee incolparsene la nostra lingua, ma la estrema difficoltà che seco porta il ben tradurre. Chi a ciò si accinge, non solo dee possedere perfettamente la lingua in cui scrisse l’autore che vuol tradursi, e quella in cui dee esso tradursi, ma dee conoscerne ancora le relazioni che hanno l’una coll’altra; riflettere alle circostanze dei tempi in cui scrisse l’autore, e a quelle in cui dee pubblicarsi la traduzione, alla diversa indole delle nazioni, ai diversi costumi, al diverso genio della lingua. Un’espressione sarà sublime in un linguaggio, tradotta letteralmente in un altro sarà bassa e triviale. Un’immagine sarà sembrata nobile venti secoli addietro, or si rimirerà come vile. Chi può or soffrire l’Omero del Salvini? E no»