Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/319

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258 LIBRO ipse episcopus hoc per se faciat. In Taurinis conveniant de Vighintimilio, de Albegano, (de Vadis, de Alba. In Cremona discant de Regio, de Placentia, de Parma, de Mutina. In Florentia de Thuscia resipiscant (forte respiciant). In Firmo de Spoletinis civitatibus conveniant. In Verona de Mantua, de Tridento. In Vicentia de Patavia, de Tarvisio, de Feltris, de Cene fa, de. Asilo. Reliquae civitates Forum Julii ad scholam concurrant. Ecco dunque le nove città da cui doveasi per tutto il regno d’Italia diffonder la scienza: Pavia, Ivrea, Torino, Cremona, Firenze, Fermo, Verona, Vicenza e Cividal del Friuli. L’esser nominata Pavia prima d’ogni altra, e l’assegnarsi ad essa numero di città subalterne quanto allo studio maggiore assai che ad ogni altra, ci mostra eli’ essa fin d’allora distinguevasi in ciò sopra tutte; il che probabilmente nasceva dall’essersi ivi tenuta scuola fin da’ tempi de’ Longobardi, come abbiam dimostrato. A Pavia dunque dovean concorrere i giovani bramosi d’istruirsi da Milano, da Brescia, da Lodi, da Bergamo, da Novara, da Vercelli, da Tortona, da Acqui, da Genova, da Asti, da Como. Chi fosse il Dungalo qui nominato, il vedremo frappoco. Ma che è ciò che si soggiugne d’Ivrea / In Ebo~ reja ipse episcopus hoc faciat. Per qual ragione uno studio particolare in Ivrea, e ad uso solo della stessa città, invece di assoggettarla, come sembrava naturale, a Torino? Per qual ragione ordinare che lo stesso vescovo vi tenga scuola? Io pi eliderei volentieri a rischiare tai dubbj, se potessi aver fondamenti a cui appoggiarmi.