Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/384

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terzo 3a3 rimane , della nascita, de’ progressi. e delle vicende della stessa eresia (V. Ceillierj t. 19, p. 252, ec.). Così l’Italia anche in questi infelici tempi di barbarie e d’ignoranza continuava ad aver uomini dotti che ne uscivano ad illustrare ancora le straniere nazioni. XXIV. Tal fu lo stato dell’italiana letteratura sacra del IX secolo, più felice, a dir vero, che non in alcuno de’ secoli precedenti, ma pur di molto inferiore ad altri più antichi. Ma il x secolo, per le ragioni che nel primo capo si son recate, fu assai più infelice; e forse non ve n’ebbe altro in cui tra noi fosse maggior l’ignoranza. Ovunque noi ci volgiamo, altro non ci si offre che scostumatezza e barbarie anche in molti di quelli che pel sacro loro carattere avrrebbon dovuto risplendere nella Chiesa di Dio. In Roma ancora, ove pure gli studj, singolarmente sacri, eransi iinailor sostenuti meno infelicemente che altrove, era tal l’ignoranza, che negli Atti di un Concilio tenuto in Rheims l’anno 992 si dice che appena vi si trovava chi sapesse i primi elementi della letteratura (V. Baron. ad h. an.). Che se ciò era in Roma, che direm noi delle altre città? Egli è vero però, che, come osserva il cardinale Baronio parlando di questo concilio, sembra che l’astio e l’invidia contro la chiesa romana suggerisse le arrecate espressioni. E certo Raterio non molto prima scrivevane diversamente, dicendo che non altrove meglio che in Roma poteva uno essere istruito nelle scienze sacre (in Itiner.). Ma è vero ancora che universale e profonda veggiamo comunemente l’ignoranza in questo