Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/398

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TERZO 337 poesie appena si posson leggere al presente senza ridersi della rozzezza de’ loro autori; ma essi erano allora i più splendidi luminari che fosser tra noi, e parvero anche sì dotti, che dall’Italia chiamati furono in Francia, perchè vi facessero risorger gli studj quasi interamente caduti. Anzi il numero de’ poeti di questa età è assai maggiore, che non crederebbesi, al considerar l’ignoranza in cui era comunemente involto il mondo. Teodolfo vescovo d’Orleans, di cui già abbiam favellato, era poeta, e presso i suoi contemporanei dovea sembrare un nuovo Ovidio. Poeta ancora era Paolino patriarca d’Aquileia, di cui pure già si è ragionato, e alcune sue poesie ancor ci rimangono. Anche Pietro pisano, il maestro in gramatica di Carlo Magno, facea de’ versi, come or ora vedremo. Alcuni versi innoltre abbiam già rammentati del S. abate Bertario. Versi parimenti veggiamo aggiunti alle Vite de’ Vescovi di Ravenna scritte da Agnello, e se ne dice autore un anonimo scolastico, o soprastante alle scuole di quella città; il quale però, se altra maniera di verseggiare non insegnava a’ suoi discepoli fuorchè la sua,.meglio avrebbe fatto a deporre la cetra che troppo male stavagli fra le mani. L’Anonimo salernitano ci ha conservata qual * prezioso gioiello un’elegia d’Ilderico monaco casinese (Chron. c. 132). Molti epitafj poetici dei principi longobardi che vissero in questi due secoli, sono stati raccolti da Cammillo Pellegrino, e poscia pubblicati di nuovo con altre aggiunte dal canonico Francesco Maria Pratillo Tuunoscin, Voi. III. a a