Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/397

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336 LI RllO per la necessità in cui erano i romani pontefici «li rispondere alle lettere, e di esaminare i libri che venivan di Grecia. Anche nell’altre provincie che non avean co’ Greci commercio alcuno, dobbiam credere nondimeno che la lingua greca non fosse interamente dimenticata, Io non trovo, a dir vero, nel ix secolo scrittore alcuno di queste nostre provincie, di cui si possa accertare che sapesse il greco 5 e anche di Teodolfo, di Paolino e di altri che furono i più dotti uomini di questo tempo, non credo che vi sia argomento a persuadercelo. Solo di Paolo Diacono che fiorì al fine del secolo VIII, vedrem tra poco ch’era sì esperto in questa lingua, che fu scelto ad istruire in essa quei cherici che accompagnar doveano la figlia di Carlo Magno a Costantinopoli. Ciò non ostante io osservo che nel x secolo, che fu certamente il più rozzo, pure l’autore anonimo del Panegirico di Berengario, che credesi vissuto al tempo medesimo, volle affettar cognizione della lingua greca, scrivendo in essa il titolo del suo componimento (ib. ti, pars 1); e che il vescovo Luitprando, di cui or or parleremo, parecchie parole greche andò spargendo nella sua Storia, per mostrare lo studio ch’egli n’avea fatto. Or se anche in mezzo a una sì grande barbarie, qual fu quella del x secolo, ebbevi nondimeno chi si volse allo studio di questa lingua, molto più dobbiam credere che ciò avvenisse nel IX che fu assai meno incolto. II. Gli altri studj di amena letteratura , e singolarmente la poesia e la storia , ebbero essi pure i loro coltivatori. Le loro opere e le lor