Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/435

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II. Nè l.i filosofia nè la matematica fu coltivala. 374 LIBRO egli dice, quell’Iltlerico monaco casinese di cui abbiam rammentate le poesie. Ma se il valor filosofico era in lui eguale al poetico, ei non era certo nè un Pittagora nè un Platone. E veramente già abbiam poc’anzi osservato, e perse stesso il conosce chiunque ne prende a legger la Storia, che l’Anonimo salernitano è uno scrittore assai vago di favolette, a cui sembra che piaccia più di dilettare con fole, che d’istruire con veri racconti i suoi lettori. Oltrechè il nome di filosofo in questi secoli bassi si dava ancora generalmente a chiunque era ornato di qualche letteratura, di qualunque genere ella fosse. Ed è perciò assai probabile che questi 32 filosofi fossero finalmente uomini che sapessero in qualche modo scriver latino, e far de’ versi, ch’era, per così dire, la più alta cima di letteraria lode a cui allor si giugnesse. II. Nel medesimo senso deesi intendere probabilmente ciò che di Ugo re d’Italia narra Liutprando (Histl. 3, c. 5), cioè eli ’egli non solo amava, ma onorava ancora assai i filosofi. Perciocchè egli è certo che appena troviamo in questi due secoli alcuno a cui il nome di filosofo nel vero suo senso si convenisse. E lo stesso dee dirsi ancora della matematica, il cui nome pareva quasi a questi secoli sconosciuto in Italia; seppure non vogliam credere che il Dungalo maestro di Pavia fosse lo stesso che il Dungalo a cui Carlo Magno chiese ragione* di una doppia ecclissi del sole, la quale diceasi avvenuta, come nel primo capo si è detto, e che questo venuto in Italia vi risvegliasse cotali studj. Ma noi il possiamo bensì v