Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/488

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QUARTO 427 VII. La fama che del saper di Lanfranco si sparse per ogni luogo, gli aprila strada, benchè suo malgrado, alle più ragguardevoli dignità. Egli ricusò costantemente l’arcivescovado di Rouen, che gli fu offerto l’anno 1067. Ma non E iole ugualmente sottrarsi a quello di Cantorberì, cui egli dovette finalmente accettare l’anno 1070. Ciò ch’egli vi operasse alla riforma del clero, a vantaggio della sua chiesa e di tutto il regno, non appartiene punto alla Storia della Letteratura; nè io debbo perciò trattenermi a favellarne più oltre. Ei morì l’anno 1089; e benchè non sia onorato di culto pubblico , se ne vede però inserito il nome in non pochi Martirologi. Le opere che di lui ci sono rimaste, non sono punto inferiori agli elogi che ne han fatto gli scrittori contemporanei. Esse sono un Trattato contro la eresia di Berengario e a difesa della dottrina della Chiesa cattolica intorno l’Eucaristia; gli Statuti da lui composti pe’ monaci d’Inghilterra e per la celebrazione de’ divini Ufficj; molte lettere da lui scritte, altre mentre era monaco, altre mentre era arcivescovo di Cantorberì, per tacere di altre opere le quali o senza bastevole fondamento gli si attribuiscono, e son certamente di altri autori; o furono bensì scritte da lui, ma or più non si trovano, o almeno non sono ancora venute a luce. Di esse e di altre cose che a Lanfranco appartengono, si veggano gli scrittori della Storia e delle Biblioteche ecclesiastiche, e tra questi singolarmente il P. Ceillier (l. cit.), il quale, secondo il comun sentimento, osserva che nelle opere di Lanfranco si