Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/642

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QUARTO 58I deir Occidente , e nuovo Ippocrate. Così di lui narra Pietro Diacono (Chron. Mon. Casin. l. 3, c. 35; et de Vir. ill. c. 23). Noi abbiam già osser» vato clic a’ racconti di questo scrittore non conviene troppo facilmente affidarsi, ove singolarmente ci narra cose maravigliose. E forse nella narrazion sopraddetta vi son più cose da lui inventate a capriccio. Ma che Costantino Africano recasse in latino molti de’ libi arabici e greci di medicina , e che più opere scrivesse sulla stessa materia , ce ne fan fede e le traduzioni medesime, delle quali alcune ancor ci rimangono , e le stesse sue opere pubblicate in Basilea l’anno 153(3 (V. Fabr. Bibl. gr. t. 13, p. 123 , ec.), oltre più altre opere che abbiam manoscritte, e che diligentemente si annoverano dall’Oudin (De Script, eccl. t. 2, p. 694 ec-)Egli è ben vero che le traduzioni fatte da Costantino non furono anche ne’ più remoti e più oscuri tempi in gran pregio. Taddeo celebre medico fiorentino del secolo XIII parla della traduzion da lui fatta degli Aforismi d’Ippocrate con espressioni di molto disprezzo , e le antipone di gran lunga quella fatta da Burgondio pisano, benché aggiunga eh’essendo quella di Costantino più comune e più usata, egli era stato costretto a servirsi di essa: Et translationem Constantini persequar, non quia melior sit, quia communior; nam ipsa pessima est, et superflua, et defectiva. Nam ille insanus monachus in transferendo peccavit quantitate et qualitate: tamen translatio Burgundionis pisani melior est... et hoc invitus faciam; sed propter communitatem translationis Constantini. ec.