Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/728

Da Wikisource.

QUARTO 607 esagerazione nel passo arrecato; e che Leone non abbia steso anche ad essi senza giusta ragione ciò che forse de’ soli pavimenti intarsiati dovea affermare. Questi in fatti io penso che fosser comunemente lavoro de’ Greci, e il congetturo dal passo medesimo, che ho poc’anzi accennato, della Cronaca del monastero di Cava, ove dopo aver detto che quell’abate fece adornar la chiesa di musaici e di pitture, si aggiugne: et novum fecit pavimentum opere graecanico; colla qual espressione ognun vede volersi qui indicare il pavimento intarsiato a marmi di diversi colori; e il dirsi questo lavoro greco, sembra accennare che i Greci fossero 0 gli inventori, o gli artefici ordinarj di tali ornamenti. E in vero assai più frequente è nelle storie d’Italia de’ bassi secoli la menzion di musaici e di pitture, che non quella di cotai pavimenti; il che ancora ci rende probabile che stranieri fosser comunemente coloro che in tali opere s’impiegavano. Ma ancorchè ad ogni modo si volesse credere interamente a Leon Marsicano, non mai potrassi coll’autorità della sua Cronaca dimostrate che la pittura fosse del tutto dimenticata in Italia. IV. Se le Vite de’ romani pontefici di questi tempi fosser descritte con quella minutezza medesima che veggiamo in quelle de’ più antichi, in esse ancora noi troveremmo non poche pruove della pittura esercitata in Italia anche di questi tempi. Ma gli scrittori di esse, rivolti per lo più alle sole più importanti vicende del loro pontificato, non furon molto solleciti di tramandarci la memoria di tali cose, che troppo