Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/169

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l48 LllillO Noi frattanto, che non ci sentiamo in lena d’intraprendere sì lunghi viaggi, ci stiam dubbiosi ed incerti; e dopo aver lette cento descrizioni dello stesso paese, non ne caviamo spesso altro frutto, che di conchiudere che non ne sappiam nulla. Or se anche i viaggiatori moderni, i quali son pure tanto più colti degli antichi, non hanno però ancor rinunciato al natio diritto di vendere fole, perchè ancor vorrem noi che del diritto medesimo non godesse ancora il nostro Marco? Appena è possibile a un viaggiatore l’osservare, l’esaminare, l’accertare ogni cosa. Spesso non può guardare un oggetto che alla sfuggita; e ancorchè il rimiri con attenzione, spesso non può farne prontamente in iscritto la descrizione. Ciò non ostante ei vuol comparire esatto; e parla perciò di ogni cosa minutamente; e a ciò ch’egli non ha potuto o diligentemente osservare, o ritener fedelmente, supplisce colla sua fantasia, Io dunque non mi farò a difendere Marco Polo in tutto ciò ch’egli racconta; anzi concederò senza pena che molte cose egli abbia esagerate, o fors’anche finte a capriccio. Ma non temerò anJ eor di affermare che gli errori de’ quali egli possa essere a ragione accusato, non son poi tanti, quanti da alcuni si crede. Coloro a’ quali le relazioni di Marco sembrano piene di falsità e d’imposture, misurano spesso i tempi antichi da’ nostri; e perchè ne’ paesi de’ quali egli ragiona, non trovasi ora ciò ch’egli afferma d’avervi trovato, gridan tosto all’errore. Ma egli è certo che ben diversa era la condizione di quelle provincie a’ tempi di cui