Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/200

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SECONDO 179 seduta sulla consueta sua sedia, avvisolla che ricordevole dell’umiltà conveniente a que1 sagramento, sedesse in terra, e ch’ella prontamente ubbidì. Questo racconto non è punto improbabile, e si confà ottimamente al carattere virtuoso, ma non fanatico, di Gioachimo. Ma egli certo non avrebbe parlato mai di Federigo in quella sì ingiuriosa maniera che gli fa usare l’Anonimo Vaticano e ancorchè avesse voluto predire i mali che da lui si sarebbero recati alla Chiesa, l’avrebbe fatto con più rispettose espressioni. Io perciò non dubito punto che una tal profezia sia stata coniata da alcun del partito contrario a Federigo II, e troppo facilmente adottata dal detto Anonimo. Il che comincia a mostrarci che alcuni si son presi il trastullo di fingere profezie dell’abate Gioachimo, ch’egli non avea mai fatte. Ciò cominciò a farsi fin da quando egli vivea; e tale io credo col P. Pagi (Crit ad Ann. Baron. ad an. 1190) che fosse quella cui Ruggero Howeden scrittore contemporaneo racconta fatta ai re Riccardo e Filippo, cioè che fra sette anni sarebbe stata espugnata Gerusalemme. In fatti lo stesso Ruggero narra che Gioachimo avea prima risposto che non era ancor giunto il tempo di espugnare Gerusalemme, e che poco o nulla avrebbono i Cristiani con quella spedizione ottenuto. E che tale fosse, e non altra la risposta di Gioachimo, l’afferma ancora Bernardo di Guidone (Vita Clement. III, Script rer. itaL t. 3, pars. 1, p. 4;8). Ma per confortare i crociati dovette probabilmente spargersi ad arte la voce che Gioachimo avesse