Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/525

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5o4 UDRÒ adoperati da Federigo. Manfredi seguì gli esempj paterni, ed altre opere di antichi filosofi per comando di lui furono volte in lingua latina, come pure si è dimostrato a suo luogo (ib.); il che pur fecero altri a imitazione de’ primi j ed altri, se non si occuparono in traslatare gli antichi autori, appresero almen le lingue in cui le lor opere erano scritte, affin di giovarsene ne’ loro studi. In fatti le opere filosofiche, astronomiche e mediche di molti Italiani di questa età, delle quali abbiam ragionato, e nelle quali veggiam sì spesso citati gli autori arabi e greci, molte delle cui opere non eransi ancor traslatate in latino, ci dan motivo di congetturare che i loro autori fossero in quelle lingue sufficientemente versati. E per ciò che appartiene alla lingua arabica, e ai traduttori de’ libri in essa scritti, già abbiam favellato de’ libri medici che Simone da Genova da quella lingua recò nella latina (c. 3, n. 16). Inoltre in questa Estense biblioteca conservasi manoscritta la traduzione di un’opera attribuita ad Ippocrate intorno le malattie de’ cavalli, fatta sulla versione arabica da Mosè di Palermo: Esplicit, così -si legge’alla fine del codice, Hippocratis Liber de curationibus infirmitatum equorum, quem translatavit de lingua arabica in latinam Magister Moyses de Palermo. Di questo traduttore non trovo chi faccia menzione; nè il codice ci dà indicio a conoscere in qual anno precisamente fosse scritto. Ma come in questo secolo furono assai frequenti cotali versioni, egli è probabile che Mosè fosse uno di quelli che da Federigo, o da Manfredi vennero in esse