Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/589

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568 LIBRO molto più che Sabbino, secondo tulli gli storici, morì l’anno 1193. Al Crescimbeni però non sembra abbastanza certa questa opinione. Anche al presente, egli dice, benchè già da tanti secoli sia morto Creso, pur sogliam dire, un uom più ricco di Creso. Poteva dunque, dic’egli, ancor Ciullo nominar le ricchezze di Saladino, benchè questi già da più anni più non vivesse. Ma si rifletta di grazia: Ciullo non dice: se tu mi donassi le ricchezze di Saladino; nel qual caso l’espressione sarebbe dubbiosa; ma se tu mi donassi tante ricchezze, quante ne ha Saladino. Or io non credo certo che alcuno, per quanto rozzo egli fosse, scriverebbe al presente: io ho tante ricchezze, quante ne ha Creso, poichè questa maniera di favellare non si usa che riguardo ad uomo ancor vivente. E parmi perciò che si possa asserire con fondamento che la canzone di Ciullo fu scritta al più tardi l’anno 1193. Ma di questo poeta null’altro sappiamo, e niun’altra pruova ci è rimasta del suo valore in poesia. IV. Or se tra’ Siciliani vedesi coltivata la poesia italiana alcuni anni innanzi alla fine del secolo XII pare ch’essi possano a buon diritto arrogarsi la gloria di essere stati i primi che ad essa si rivolgessero, finchè almeno non si scuopra altro poeta che sia certamente più antico. E io penso che il Petrarca ne’ due passi da noi altrove allegati (t. 3), ove egli sembra affermare che i Siciliani fossero gl’inventori delle rime, non altro volesse dirci, se non che essi furono i primi che poetassero nel volgar gainostro linguaggio. Il Crescimbeni mal volentieri