Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/596

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TERZO 5jT> riferita distesamente. Ma non potrebbesi sospettare ch’ella fosse opera del Boccaccio medesimo? Il Crescimbeni dice ch’essa trovasi ancora in un codice MS. di poesie antiche dall’Allacci raccolte. Ma forse l’Allacci aveala tratta da questo fonte medesimo; e gli altri autori che il Crescimbeni adduce, i quali fan menzione di Mico, poterono essi ancora non averne altronde contezza che da questa Novella. Quindi io non so intendere come il chiarissimo Manni affermi (Stor. del Decam, p. 559) che l’Ugurgieri e il Gigli lodando Mico sulla testimonianza del Boccaccio, confermino l’autorità di questo racconto, poichè se essi non ne adducono altra pruova che questa Novella, rimane ancora a vedere se il Boccaccio in essa ci abbia narrata una storia, ovvero un apologo. Vili. Chi crederebbe che tra’ più antichi poeti dovessimo vedere ancor S. Francesco con due de’ suoi primi compagni? E nondimeno abbiamo alcune poesie italiane di argomento sacro composte da S. Francesco, e pubblicate dal P. Wadingo (inter Op. S. Frane.)-, e nelle Cronache de’ Minori vedesi un cantico intitolato il Sole, opera del medesimo santo, il quale benchè ivi sia scritto distesamente a foggia di prosa, è nondimeno in versi sciolti, come mostra il Crescimbeni (Comment. t. 1 , p.), cd è forse il primo esempio che trovasi di cotai versi (38). () Il ch. P. Irenco Affò nella sua erudita dissertazione de’ Cantici volgari di S. Francesco d’ -Issisi, stampata in Guastalla nel 1777, ha assai ben combattuta la comune opinione da me ancora a questo luogo seguita , cioè die S. i rancesco sia fauloie degli accennali