Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/60

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primo 3 g da se stesso la morte. La diversità medesima de’ sentimenti degli autori di quei’ tempi intorno al vero motivo della disgrazia di Pietro mi sembra che renda probabile la mia opinione; perciocchè se Pietro fosse stato reo di grave {’allo contro di Federigo, questi non avrebbe lasciato di pubblicarlo, e ne sarebbe rimasta tra’ posteri certa fama. Dante, che pone l'anima di Pier delle Vigne all’Inferno nascosta entro di un tronco, ne parla in modo, che anch’egli sembra persuaso ch’ei fosse innocente, perciocchè lo introduce a ragionar per tal modo di se medesimo: V son colui che tenni ambo le chiavi Del cuor di Federigo, e che le volsi Serrando, e disserrando, sì soavi, Che del segreto suo quasi ogni uom tolsi. Fede portai al glorioso ufizio, Tanto ch' i’ ne. perde’ le vene e’ polsi. La meretrice che mai dall’ ospizio Di Cesare non torse gli occhi putti, Morte comune e delle corti vizio, Infiammò contro me gli animi tutti, E gl’infiammati infiammar sì Augusto, Che i lieti onor tornaro in tristi lutti. L’animo mio per disdegnoso gusto, Credendo col morir fuggir disdegno, Ingiusto fece me contra me giusto. Inf. canto 13. Egli è vero che Benvenuto accenna alcune lettere scritte dal medesimo Pietro intorno alla sua sventura, nelle quali ci sembra riconoscersi reo. Ma lo stesso Benvenuto afferma che cotai lettere gli eran supposte: Ipse Petrus in quibusdam epistolis, quas fecit de infelici late sua., profitetur se nocentem. Dico breviter, quod