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TERZO 587 XII. Dopo avere in tal modo parlato di que’ Toscani che vollero poetando usare del volgar dialetto plebeo, passa Dante a parlare di quelli che conobbero, com’egli dice, l’eccellenza del volgar cortigiano; cioè Guido Lapo e un altro fiorentini, e Cino pistoiese (DeEloq.p. 268). Del primo non ci è rimasta memoria alcuna, come ci avverte il Crescimbeni (t. 2, par. 2, p. 54); benchè egli stesso non molto prima avesse detto (ib. p. 40) che questi è Lapo degli Uberti figliuolo del celebre Farinata. Il medesimo Crescimbeni pensa che sotto il nome di un altro Dante voglia intender se stesso; il che non è inverisimile. Cino da Pistoja è un de’ poeti di cui Dante faccia più onorevole e più frequente menzione; ma ei sopravvisse al medesimo Dante, nella cui morte scrisse un sonetto che conservasi manoscritto nella biblioteca di S. Marco in Venezia (Zannetti Bibl. Ven. t. 2, p. 247). Quindi come noi ci riserbiamo a parlare di Dante nel quinto tomo di questa Storia, perchè al) xiv secolo appartiene la principale sua opera, così pure ci riserbiamo a trattare allora di Cino. Due poeti faentini ancora veggiam nomimati da Dante, perciocchè egli parlando del dialetto di Romagna dice: Bene abbiamo inteso che alcuni di costoro nei poemi loro si sono partiti dal suo proprio parlare, cioè Tommaso ed Ugolino Bucciola faentini (l. cit. p. 269). Di amendue conservansi in alcune biblioteche poesie manoscritte, e fra le altre un sonetto di Ugolino a messer Onesto (Crescimb. t. 2, par. 2, p. 44), il qual ci mostra che questo poeta, e l’altro ancora probabilmente, che forse gli fu XII. Altri poeti rammentati da Uiult.