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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/634

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TERZO Gl3 pubblicata il Crescimbeni (t. 3, p. 44) e abbiamo veduto che da alcuni si crede ch’ei fosse della famiglia medesima di Castello, e che vivesse a questi tempi. Di che però non so se vi abbia abbastanza certo argomento. Ma il primo da noi mentovato basta a mostrarci che in questa città fu conosciuta e coltivata la poesia fino da questi tempi. « Parma ancora non fu senza poeti nel secol XIII, come Dante ci vorrebbe far credere. Il più volte citato F. Salimbene parmigiano ci narra nella sua Cronaca ms. all’anno 1259 di aver composto un libro col titolo di Tedii. Supradicto millesimo habitabam in Burgo S. Donini, et scripsi alium librum Tediorum ad similitudinem Pateceli. Egli è questi un poeta, benchè assai rozzo, cremonese di patria, che dee aggiugnersi alla serie de’ più antichi poeti italiani. Ce ne ha dato un saggio il medesimo F. Salimbene, ove parlando della rusticità del celebre frate Elia, dice: Ideo de talibus in libro Tediorum dicit Patecelus. Cativo hom podesta de terra E pover superbo kivol guerra E Senescalco kintrol desco mi serra. E villan ki si messo a cavallo Et homo ke zeloso andar a ballo E lintrar de testa quande fallo. E avar hom ki in onore eventura E tutti quanti da solazo ne cura. Ne parla anche altrove ragionando del cardinale Ottaviano Ubaldini legato di Lombardia , di cui dice ch’ebbe una figlia monaca, e che questa avendol richiesto di amicizia, ei gli rispose: Nolo te habere amicam, quia Patecelus