Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/193

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156 LIBRO sicché o nulla, o sol ne rimanga qualche lacero e guasto frammento. Io ben mi ricordo, egli dice, che essendo fanciullo vidi i tuoi libri delle Cose divine ed umane, pei quali principalmente sei celebre; e mi affligge il pensare al piacere da me appena assaggiato. Sospetto c/i essi sieno ancora in un cotal luogo nascosti; e già son più anni che questo pensier mi travaglia, poichè non vi ha cosa che più affligga di una sollecita e prolungata speranza. E ben abbiamo a dolerci noi pure che una sì dotta opera di Varrone, qual era la mentovata, dopo aver superate felicemente le vicende di tredici secoli, perisse in un tempo in cui pareva che dovesse essere omai sicura. Ma essa non fu la sola a cui ciò avvenisse; perciocchè oltre i libri di Cicerone de Gloria, de’ quali altrove abbiam detto, egli attesta ancora di avere in età giovanile veduto un libro di Epigrammi e di Lettere di Augusto (Rer. memor. l 1, c. 2), cui avea poscia inutilmente cercato. Più lieto successo ebbero le sue fatiche nel ricercare le Istituzioni di Quintiliano. Egli trovolle finalmente l’an 1350, e sfogò il suo giubilo per sì bella scoperta con una lettera inedita scritta in quel giorno medesimo allo stesso Quintiliano. L’ab. de Sade afferma (Mém. de Petr. t. 3, p. 93) che il Petrarca trovò questo codice in Arezzo nel tornar ch’ei fece da Roma l’anno 1350. Ma è certo in primo luogo che egli il trovò non nel tornar da Roma, ma nell’andarvi; poichè nel codice delle Lettere del Petrarca postillato per mano di Lapo da Castiglionchio, che si conserva in Firenze, questi alla lettera accennata