Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/391

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XXX VI. Per qual ragione J.i filosofia non fossi! I rn|<po accreditala. 354 UURO XXXVI. Noi dovremmo qui far parola di quelli che se non pubblicarono libri a illustrazione della filosofia, ne tennero almeno scuola nelle pubbliche università. Alcuni ne annoverano il Ghirardacci, tessendo il catalogo de’ professori dell’università di Bologna (t. 2,p. 250, 450, ec.), il Facciola ti, parlando di que’ di Padova (Fanti Gj rnn. patav. pars 1, p. 44)? e alcuni altri scrittori. Ma, a parlare sinceramente, appena vi ha tra essi chi meriti special menzione, se se ne tragga Paolo Vergerio il vecchio, che, essendo ancor giovane, fu professor di logica in Padova. Ma poichè questi più per altro genere di studj e non pe’ filosofici divenne illustre, e toccò ancora non piccola parte del secolo seguente, ad altro tempo e ad altro luogo riserveremo il parlarne. I professori di filosofia facevano in questo secolo comunemente un corpo solo con quelli di medicina, anzi sovente un medesimo professore dovea insegnare l’una e l’altra scienza, ed era detto perciò professore di medicina e delle arti. La giurisprudenza continuava ancora a rivolgere a sè l’ammirazione e la stima, e quindi il più numeroso concorso degli scolari. La medicina venivale appresso, e per poco non le contrastava il primato. Le altre scienze non aveano alzato gran nome, e la filosofia singolarmente che non credevasi punto necessaria, e, quale a que’ tempi insegnavasi, era veramente del tutto inutile, avea assai minor numero di coltivatori; e forse ella sarebbe stata anche maggiormente dimenticata, se l’universale infatuamento per l’astrologia giudiciaria non avesse indotti molti a coltivarne quella parte che