Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/405

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368 LIBRO esclama, ahi ingegni italiani o addormentati, o estinti! A me spiace singolarmente che il tuo ingegno fra tali angustie si stia ristretto. Al danno che a’ medici italiani veniva dall’esser troppo ciechi adoratori degli Arabi, aggiugne- J \asi l’essere in questo secolo venuta meno la più celebre scuola di medicina che già fosse 1 tra essi, dico quella di Salerno. Egli è lo stesso Petrarca che lo accenna, ove descrivendo il viaggio di Terra Santa, e parlando del regno di Napoli, dice: Salernum videbis et Silarim: J fuisse hic medicinaefontemfama est; sed nihil ] est, quod non senio exarescat (Itin. syr. t. 1 ejus Op. p. 622). Le quali parole ci mostrano I ch’era già molto tempo che quella scuola era I ben lungi dall’aver più quel grido di cui per I molti secoli avea goduto. Nelle università d’I- 1 talia insegnavasi certamente la medicina, come 1 ora vedremo: ma, ciò non ostante, pareva a | molti che a ben apprenderla convenisse re-M carsi in Francia. Veggiamo in fatti che Ubertin fl da Carrara, signor di Padova, fatti sceglier fra 1 tutti dodici giovani padovani che mostrasser o più vivo e più acuto ingegno, e fornitili di tutto ciò che era lor necessario, mandolli a Parigi perchè vi apprendessero la medicina J (Verger. Vit.Princip. Carrar. vol 16, Script. Rer. * ital. p. 168). Così gl’italiani, dopo aver essi i primi richiamate a vita le scienze, cominciavano fin d’allora a pensare che a divenir dotti fosse lor necessario farsi discepoli degli stra- ’ nieri, de’ quali erano già stati maestri. Ciò non ostante non fu priva l’Italia di medici che a quei tempi per poco non sembraron divini; e