Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/492

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SECONDO 455 (Scritt. iial. t. 2, 4? p- i3ao, nota. 37) han dimostrato che (quella cotal Raccolta di prose antiche, onde questa lettera è tratta, è pressochè tutta tessuta di follie e di sogni del medesimo Doni, il che lo Zeno ha singolarmente avvertito di questa lettera. Anzi lo stesso abate de Sade altrove confessa che la Raccolta del Doni contiene molte cose apocrife (t. 3fp. 170). Perchè dunque non ne ha egli ancor sospettato parlando di questa lettera? E dovea pur egli stesso dubitarne per più ragioni. Cino in essa rammenta al Petrarca l’impegno e l’ardore con cui si applicava allora allo studio delle leggi. E nondimeno l’ab. de Sade avea già scritto (t. 1, p. 38), e provato col testimonio medesimo del Petrarca, che questi non avea mai potuto prender genio ed amore per un tale studio. Cino rimprovera al Petrarca che, poichè avea cominciato a frequentar le corti de’ principi, avea abbandonate le leggi. E nondimeno l’ab. de Sade sapea bene che il Petrarca non avea l’an 1329 veduta ancora alcuna corte. Cino lo rimprovera perchè gittava il tempo facendo dei versi alla corte del vescovo di Lombes. E nondimeno l’ab. de Sade pruova, non molto dopo ib. p. i49)> che il Petrarca andossene a Lombes solo nel 1330, cioè un anno dopo la data di questa lettera. Finalmente Cino parla in questa lettera con disprezzo della poesia e de’ poeti. E nondimeno l’ab. de Sade sapeva che Cino era ancora poeta, anzi avea affermato (ib. p. 46) > ma senza recarne pruova, ch’egli era stato anche in questo studio guida e maestro al Petrarca. Come dunque ha potuto