Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/65

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28 LIBRO abbiam detto di Cesare Augusto, egli ancora, benchè sì scarsa e quasi niuna occasione ne avesse, procurò nondimeno con sommo impegno di proteggere con regia beneficenza gl’ingegni del secol suo. Non solo udiva con singolar pazienza coloro che gli recitavano cose da lor composte, ma faceva lor plauso, e gli onorava del suo favore. Così continuò egli a fare fino all’estremo. Anche già vecchio, filosofo e re quale egli era, non vergognossi mai d imparare cosa alcuna; ne mai gV increbbe di farcene parte. Egli dicea sovente che coll apprendere e colf insegnare V uom si fa saggio. Quanto finalmente egli amasse le lettere, il dà a vedere un suo detto ch’io stesso ne udii. Perciocchè avendomi egli chiesto un giorno per qual cagione foss’io venuto a lui così tardi, e dicendogli io, come era di fatti, che i pericoli di mare e di terra e gli ostacoli dell’avversa fortuna me X ave ani finallora impedito, cadde non so come menzione del re di Francia, ed ei mi chiese, s io avessi veduta mai quella corte. Gli risposi che non erami ciò mai caduto in pensiero. E sorridendo egli, e cercandomene la ragione, perchè, gli soggiunsi, io non ho voluto esser inutile e gravoso a un re non letterato; e a me piace assai più il vivermene lieto nella mia povertà, che inoltrarmi nelle soglie regali ove nè intenderei, nè sarei inteso da alcuno. Replicò egli allora di avere udito che il primogenito del re non era alieno dagli studj: ed io gli risposi che così ne aveva inteso io pure; ma che ciò spiaceva al padre, e che anzi diceasi c/i ei mirava come suoi nemici i maestri