Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/8

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prefazione VII

errori di molti scrittori, dall’ordine con cui si son disposti gli avvenimenti, dalla minutezza con cui essi vengon narrati, e da molti pregevoli monumenti ch’egli prima d’ogni altro ha scoperti e pubblicati.

Ma un Italiano, e uno singolarmente che scrive la Storia della Letteratura Italiana, non può a meno di non dolersi alquanto di certi tratti che questo scrittor francese ha qua e là sparsi nella sua opera, e principalmente nella prima prefazione al primo tomo premessa, e da lui indirizzata agli eruditi Italiani. Ei ci rimprovera in somma che abbiamo finora ignorata la vita del Petrarca, e si gloria di essere stato il primo a darcene una giusta idea. Oserò io, dic’egli fra l’altre cose (p. 75), o signori, di comunicarvi il frutto delle mie riflessioni? Le mie congetture su questo argomento (cioè sullo scopo e sull’epoche delle poesie del Petrarca) sono interamente opposte a quelle di tutti i vostri scrittori (parlo di que’ soli che io ho veduti): convien necessariamente che o io, o essi siamo in errore. Non posso esprimere quale è stata la mia sorpresa nel fare questa scoperta; e vi confesso sinceramente ch’essa mi ha fatto nascer non pochi dubbi sulle mie congetture, per quanto io avessi studiato affin di accertare il vero. Se queste congetture fossero vere, ne seguirebbe che la più ingegnosa nazion d’Europa avrebbe fino al presente ignorato tutte le circostanze della vita di un uomo a cui più che ao’ogni altro debb’esser tenuta, e che più d’ogni altro le ha recato onore; ma ancor l’epoca e l’argomento delle sue poesie ch’ella già da, quattro secoli non cessa mai di leggere e d’ammirare. Ma eccovi cosa ancor maggiore e del tutto incredibile. Se le mie congetture fossero giuste, sarebbe vero che un uomo nato di là dall’Alpi con assai mediocre talento sarebbe venuto ai’insegnare a questa nazion medesima ciò che assai meglio di lui dovrebbe ella sapere; e ciò usando solo de’ libri ch’ella ha tra le mani, e di alcuni codici tratti dalle biblioteche della medesima. Un tau’uomo non potrebbe egli dire ciò che dicea Cicerone dopo avere scoperto il sepolcro d’Archimede? Una delle più grandi e delle più dotte città di Grecia (dovea dir di Sicilia) avrebbe ignorato il sepolcro del più celebre de’ suoi cittadini, se un abitante d’Arpino non fosse venuto aa’additarglielo. Egli