Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/181

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I TEnzo G85 discepolo f come lo stesso ab, de Sade ci racconta , io non posso indurmi a crederlo sì facilmente, e penso che la seconda volta soltanto ei si stringesse in amicizia con lui. Il Petrarca, ogni qualvolta ne fa menzione, sempre ne parla come di uomo una volta sola e per breve tempo da lui conosciuto*, nè mai accenna che due volte lo avesse a maestro. Confessa bensì che con grande ardore egli avea intrapreso lo studio della lingua greca e de’ greci autori. Ne’ suoi Dialogi con S. Agostino, questi, da’ libri di Platone, gli dice, tu hai potuto apprendere cotali cose, i (quali corre voce che di fresco sieno stati da te avidamente, letti Io avea preso , il confesso, ripiglia il Petrarca, a leggerli con viva speranza e con gran desiderio; ma la novità della lingua straniera e F affrettata partenza del mio maestro troncarono i miei disegni (De Contemptu Mundi dial. 2). Ove riflettasi che questi Dialogi, come ottimamente afferma Y abate de Sade (t. 2, p. 101), furon dal Petrarca composti l’an 1343, e perciò, col dirsi che di fresco avea preso a legger Platone, nuper incubuisse diceris, sembra certo che si accenni il precedente anno 1342, il quale io penso che fosse il solo in cui il Petrarca fece conoscenza con Barlaamo. Udiamo ancora com’ ci ragiona in una lettera , scritta dopo la morte di Barlaamo , a Niccolò Sigeros, che aveagli inviato in dono un Omero greco. Egli si duole (Var. ep. 21) che non sappia tanto il greco quanto a intendere quel poeta sarebbe d* uopo. Quindi, la morte, dice, mi ha rapito il nostro Barlaamo, o a dir meglio io stesso me n era