Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/190

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694 ItBilO contra il nome Latino. Appena poteva egli essere giunto in Grecia, quando eccomi alt improvviso una sua lettera più lunga e più ispida della sua barba e de’ suoi cape gli, in cui, fra le altre cose, loda ed esalta come una terra celeste F Italia già da lui maledetta, e maledice Costantinopoli tanto da lui già lodata , e mi prega che gli comandi di tornarsene a me in Italia più istantemente di quel che Pietro vicino a naufragare chiedesse di esser liberato dall onde. Ma il Petrarca, che troppo avea conosciuta l’istabilità di costui, non volle farne altra pruova: e in un’altra lettera scritta da Pavia al Boccaccio del decembre dell’anno stesso (Senil. l. 4, ep. 4) > No, dice , ei non avrà mai nè lettera nè messo che in nome mio il richiami, per quanto egli mi preghi: stinsi ove egli ha voluto, e abiti miseramente colà ove insolentemente se ne è andato. L’infelice Leonzio, benchè non vedesse risposta alle sue lettere, determinossi di ritornare in Italia, sicuro di ritrovare nel Petrarca e nel Boccaccio un’amorevole accoglienza. Ma mentre, postosi in mare, accostavasi all’Italia , ecco sorgere un’impetuosa tempesta per cui atterrito , mentre si stringe a un albero della nave, un fulmine incenerì al medesimo tempo l’albero e il misero Greco. Di che il Petrarca ragguagliando il Boccaccio con una sua lettera, scritta nel gennajo dell’anno 1365 (ib. l. 6, ep. 1), ne piange con sentimenti di compassione la morte, poichè, comunque colui fosse sì poco amabile, sapeva ciò nondimeno di esserne amato; ed egli e il Boccaccio non poco frutto tratto n’avevano pe’ loro studi.