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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/195

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Terzo 699 est opus. Ma ciò si può intendere ancor di semplice esortazione con cui Coluccio a tale studio lo stimolasse. Lasciato dunque in disparte questo scrittore, a cui non possiamo attribuir con certezza un tal pregio, conchiuderemo quest1 argomento con nominare f Tebaldo dalla Casa dell’Ordine de’ Minori, di cui già abbiam altrove mostrato quanto diligente e sollecito fosse nel raccogliere e copiare i buoni autori, e di cui ragionando il Mehus (l.citp.a35) pruova da alcuni codici, da lui medesimo scritti, che egli ancora era intendente di questa lingua. Ed io ben conosco che per quanto io abbia raccolto intorno agli Italiani che in questo secolo sepper di greco, ciò è nulla in confronto alla copia che ne vedremo nell1 età susseguenti. Ma, a gloria della nostra Italia dee bastare il poterne mostrar quel numero che pur può mostrarne; e a cui io non penso che alcun1 altra nazione ne possa di questi tempi additarne l’uguale. XII. Nella storia del secolo precedente non abbiamo a questo luogo lasciato di ragionar di coloro che coltivarono la lingua francese e in essa scrissero libri. Noi potremmo qui ancora rammentare quel conte Lodovico di Porcia autor di una Vita di Giulio Cesare in questa lingua di cui parla il ch. signor Liruti (Notizie de’ Letter. del Friuli t. 1 , p. 391), e forse ancor qualche altro si potrebbe similmente indicare. Ma la lingua italiana, cresciuta in questo secolo in eleganza e in dolcezza, fece quasi dimenticare ogni altra lingua vivente, nè fu più in gran pregio chi in alcuna di esse si esercitò.