Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/30

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534 unno prosontuoso pedante, che uscendo da’ confini della sua scienza, cercava di farsi ammirare da’ suoi scolari con una vana ostentazione di | dottrina, citando autori e libri di cui non avea veduto che il frontespizio, e quindi affermando] tai cose che il rendevan degno di risa presso gli uomini dotti, come son quelle che il Petrarca gli attribuisce, cioè Platone e Cicerone doversi porre nel numero de’ poeti, Nevio ej Plauto non sapersi chi fossero, nè se fossero mai stati al mondo, Ennio e Stazio essere stati] contemporanei, e altri somiglianti solennissimi errori. Ma come pruova l’ab), de Sade che ([ue sle lettere sieno scritte a Giovanni d’Andrea?| Ei cita un codice della biblioteca del re di Francia, in cui esse sono indirizzate Professori Bononiensi. Ma in primo luogo perchè credere a questo codice piuttosto che agli altri in cui] si nomina Tommaso da Messina? E in secondo luogo, come si pruova che questo professor he lognese fosse Giovanni? Io ho lette e rilette amen due le lettere, e non vi trovo altro indicio, a| credere ch’esse siano scritte a Giovanni d’j drea, fuorché il riflettere che quegli, a cui scrive il Petrarca, avea in concetto grandissimo il Dot«| tor S. Girolamo; perciocchè sappiamo di fatti] che Giovanni avea per lui non ordinaria venerazione, e che perciò fu soprannomato da S. Girolamo (V.Mazzucchclli, 1. rii.)} che scriss la Vita di questo santo Dottore; e che avendo] donato il fondo, su cui fabbricare la chiesa della Certosa di Bologna, come fra poco ve«i dremo, volle che ella fosse dedicata in onore di questo Santo. Ma basta egli ciò a persuader