Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/301

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TERZO 8o5 non so che mi avverrebbe, se avessi grandi ricchezze: elle forse produrebbono in me l’effetto che han prodotto in altri C). XXXIII. Io spero che non sarà stato discaro a’ miei lettori Tudir sinora parlare di se medesimo il Petrarca, la cui sincerità nello scoprire tutto il suo interno a1 suoi più fedeli amici 11011 può a meno che non ce lo faccia ascoltar (*) Della sincera e fervente pietà con cui il Petrarca visse gli ultimi anni della sua vita, ci làurio pi uova moltissime delle sue lettere si stampate che inedite. Fra questa è la XIC del codice Morelliano , in cui a lungo descrive il piacere che sente nel leggere i sacri libri e le opere de’ Santi Padri, i quali or Ibi mano le sue più care delizie. Né perciò dice egli di voler del tutto dimenticare gli antichi scrittori greci e latini, ma di volere al tempo medesimo prender questi a modello del suo stile, e quelli a regola e a norma della sua vita. Meriterebbero di esser qui riferite ancora le prime due lettere del codice Morelliano dal Petrarca scritte da Milano al priore de’ Santi Apostoli. In esse, con quell’aurea sincerità che ce lo rende si amabile, descrive la somma premura eh1 egli avea di non gittare una benchè menoma particella di tempo. Il sonno e il ristoro del corpo vuole che al più gli occupino una terza parte della giornata, accordando sei ore al primo, due al secondo. Dice che mentre si fa rader la barba, o tosare i capegli, mentre cavalca, mentre mangia, sempre o legge, o si fa leggere qualche libro; che spesso al finir di un viaggio trova di aver finito un componimento; che sulla mensa e sul capezzale vuole che sempre si trovino gli stromenti da scrivere, e che svegliandosi talvolta di notte, scrive all’oscuro , e fatto giorno appena intende ciò che abbia scritto. Né egli narra tai cose, come facendosene vanto; ma quasi vergognandosi di non vivere ancora come dovrebbe, e di conceder più del bisogno al corpo e alla natura. Tiiuboschi, VI. ■9