Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/115

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PRIMO 99 sono buoni, perchè non vengono a me che ricevo ancora i mediocri? Questo saggio pontefice , conchiude Ermolao, udì con dispiacere che vi fosse in Roma chi coltivasse lettere, e non fosse a lui noto. Aggiungasi a tutto ciò il gran numero di libri per lui da ogni parte e con grandissime spese raccolti, di che diremo altrove, le magnifiche fabbriche da lui in Roma e altrove innalzate, i tesori da lui versati in seno dei poveri, e tante altre virtù che in lui si videro maravigliosamente congiunte, e si dovrà confessare ch’ei fu uno de’ più grandi e dei più gloriosi pontefici che mai sedesser sulla cattedra di S. Pietro.

XXX. Quindi non è maraviglia che tutti gli scrittori di que’ tempi usino nel parlare di Niccolò de’ più magnifici encomj. Leggasi la lettera dedicatoria di Pier Candido Decembrio premessa alla sua traduzione di Appiano, e pubblicata da monsignor Giorgi (l. cit.p. 208), la prefazione di Lorenzo Valla alle sue Eleganze, la lettera da Francesco Filelfo scritta al pontefice Callisto III (l. 13, ep. 1), l’elogio che di lui ci ha fatto il pontefice Pio II (Descript. Europ. c. 58), e cento altri monumenti di siili il genere. Sembra che tutti questi scrittori non sappiano abbastanza spiegare quanto a questo gran pontefice sien tenute le scienze , e quanto a lui debbano tutti gli uomini dotti. Io non recherò che un passo di Francesco Filelfo nella lettera con cui dedica a Niccolò gli Apoftegmi di Plutarco da sè tradotti in latino. Quanto più a te rivolgo, o Niccolò) pontefice, il pensiero e lo sguardo, sempre più riconosco