Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/429

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SECONDO 4 1 ^ quante a un tal personaggio si ri chiede vano; se non che una cotal sua sincera franchezza, usata ancor per riguardo agli stessi pontefici, facea che ei fosse temuto , e quindi ancora odiato da alcuni. Io lascio che ognun vegga presso il detto scrittore ciò che appartiene agli altri pregi di questo celebre cardinale, e solo non debbo omettere gli studj da lui coltivati, e la protezione da lui accordata a’ dotti. Soleva egli dopo il pranzo adunarne molti, e mescer con loro eruditi discorsi, disputando egli stesso, e or convincendo gli altri, or lasciandosi docilmente da essi convincere. Fra quelli che tenne in sua corte, si annoverano Enea Silvio Piccolomini, che fu poi Pio II, il Cardinal Jacopo degli Ammanati, Amico dall’Aquila, Francesco arcidiacono di Toledo, Antonio Laziosi, Leonardo da Perugia, Biondo da Forlì, S. Antonino arcivescovo di Firenze, e Egidio vescovo di Rimini. In mezzo ai gravissimi affari non intermise mai d’istruirsi sempre più nelle scienze, e singolarmente nella teologia e nella filosofia morale, a cui attese ancora in età avanzata, e ne ebbe a maestri i suddetti Francesco da Toledo e Leonardo da Perugia. Niun giorno mai gli trascorse in cui o non leggesse, o non iscrivesse per qualche tempo. E tanto aveva egli letto, che pareva che in ciò solo si fosse sempre occupato. In fatti avendo egli più di millecinquecento libri, singolarmente di Diritto canonico, non v’era cosa in essi ch’ei non avesse diligentemente veduta, il che pur fece di tutte l’opere di S. Agostino e di S. Girolamo. Era versatissimo nelle storie e ne’ libri de’ filosofi; de’ poeti