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PRIMO 27

III. Monumenti ancor più gloriosi abbiamo nelle storie del favore prestato alle lettere dal duca Francesco Sforza. Benchè nato da padre che altro non conosceva che il mestier della guerra, e perciò non in altra cosa da lui fatto istruire che nel maneggio dell’armi, poichè nondimeno fu giunto alla signoria di ampio Stato, rivolse il pensiero a farvi fiorir le scienze non altrimenti che se esse avesser sempre formato le sue più dolci delizie. Giovanni Simonetta afferma (Hi st. I. 31) ch’egli amava e stimava al sommo gli uomini dotti e dabbene; e ch’egli stesso avea una sì ammirabile e naturale eloquenza, che, quand’ei ragionava, era incredibile lo stupore di chi l’udiva. Vedremo altrove, quanto egli avesse caro Francesco Filelfo, cui non permise giammai che gli si staccasse dal fianco. Egli è ben vero che il Filelfo si duole spesso nelle sue Lettere, che del lauto stipendio dal duca assegnatogli non gli venisse mai fatto di toccare un soldo. Ma non è cosa infrequente nelle corti de’ gran sovrani, che le loro beneficenze per altrui colpa rimangano prive d’effetto. Al tempo dello Sforza seguì la rovinosa caduta dell’impero greco; e noi vedremo a suo luogo, ch’ei gareggiò co’ Medici e cogli Estensi nell’accogliere alla sua corte e mantenere liberamente molti di que’ miseri Greci, a’ quali altro non era rimasto onde vivere , che il lor sapere; e vedremo insieme quanti altri professori valorosi di gramatica e d’eloquenza furon da lui chiamati a Milano. Quindi a ragione Binino Mombrizio in alcuni versi ch’egli premise alla traduzione da se fatta