Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/467

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SECONDO 4^1 altro esemplare non proponeva fuorchè Cicerone , e che credeva doversi solo cercare di rendersi conforme a sì eccellente modello. Il Poliziano pensando che Paolo volesse con ciò persuadere una servile imitazione di Cicerone, si fa a confutarlo, provando che non conviene rendersi schiavo di alcuno, e che ognuno dee secondare la sua stessa natura. Ma nell' atto stesso di confutarlo mostra quale stima avesse di Paolo, dicendogli fra le altre cose: Paule, quem penitus amo, cui multum debeo, cujus ingenio plurimum tribuo. Non era questo però il sentimento di Paolo, ed egli spiega a lungo qual sia su ciò la sua opinione, cioè che deesi bensì cercare di imitare il più perfetto modello di latina eloquenza, quale è per consenso di tutti i dotti Marco Tullio , ma non già , dice egli, come una scimmia contraffà i movimenti dell’uomo, ma come un figlio ritrae in se stesso i lineamenti del padre. Bellissima è questa lettera , e io non posso approvare il parer del Menckenio (Vita Politian. p. 197, ec.) che la stima molto inferiore a quella del Poliziano. Io ne recherò qui sol poche linee per saggio dell’eleganza con cui egli scrive , che non è certo punto minore di quella del suo avversario: Sed veniam ad illud, in quo te dicis a me quam maxime dissentire• Scribis enim, te accepisse, me neminem probare, nisi qui lineamenta Ciceronis consectari videatur. Ego vero , quantum repetere memoria possum, nec istud recordor umquam dixisse, nec dictum volo. Quae enim stultitia esset, cum tam varia sint hominum ingenia, tam multiplices naturae - tam diversae