Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/325

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TEUZO y»\?n picciol podere, a una casuccia, a pochi libri, e a più pochi mobili. Ben ci descrivono anicnduc i detti scrittori, e il Ferno singolarmente, la non ordinaria pompa con cui ne furono celebrate l’esequie, e l’universal dolore con cui tutti ne pianser la morte.

X. E fu veramente Pomponio Leto uno degli uomini più eruditi che vivessero a quella età. Lo studio de’ monumenti antichi fu quello di cui più dilittossi che d’ogni altro. Non v’era angolo in Roma, nè alcun vestigio d’antichità, ch’ei non osservasse minutamente, e di cui non sapesse render ragione. Andavasi spesso aggirando pensieroso e solo fra quelle anticaglie, e arrestandosi a qualunque cosa nuova gli desse sott’occhio, rimaneva a guisa d’estatico, e ne piangeva sovente per tenerezza. Accadde talvolta che trovato da alcuni in tal atteggiamento quasi immobile e astratto da’ sensi t. vestito innoltre, come soleva, assai rozzamente, per poco non fu creduto uno spettro. Viaggiò una volta, come narra il Sabellico, per vedere que’ paesi posti alle rive del Tanai, che da Strabone non erano stati descritti j il che si conferma dal Ferno che afferma di averlo udito descrivere i costumi e la vita de’ popoli che avea conosciuti viaggiando; e aggiugne ch’egli pensava ancora di andar sino nell’Indie, ma che nel trattenne la compagnia degli uomini dotti, di cui godeva in Roma. Fu in fatti Pomponio carissimo a tutti coloro che proteggevano e coltivavan le scienze, ed egli erane in certo modo 1 arbitro e il condottiero, essendo capo