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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/393

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terzo io35 palagio, così il gonfiaron non poco, e il fecero rimirar con disprezzo coloro a’ quali credevasi superiore. Ed egli il diede a vedere singolarmente in una contesa che ebbe con Angiolo Poliziano per questioni in lingua latina, in cui corsero tra amendue non poche lettere, le quali si hanno alle stampe tra quelle del Poliziano (l. 5, 12), rispettose da prima e civili, ma poscia fiere e mordenti, singolarmente per parte di Bartolommeo, che parla di sè medesimo con insoffribile orgoglio. Sembra eli’ ei fosse geloso della gloria di scrittor colto ed elegante, a cui per altro non avea molto diritto, e che perciò soffrir non potesse la stima in cui in tal genere d’erudizione era il Poliziano. Questi ancora non era insensibile a una tal gloria, e rispose perciò allo Scala collo’ stile usato comunemente a quel secolo in somiglianti contese. Ma forse, al par che la gloria, ebbe parte in questa battaglia f amore, come sospetta non senza buon fondamento il Menkenio (Vita Ang. Pol. p. 380, ec.) Avea Bartolommeo una figlia detta Alessandra, celebre poetessa, di cui diremo a suo luogo, e, non meno che per poesia , per bellezza famosa. Il Poliziano l’amava assai, come ne fan fede molti epigrammi ad essa indirizzati; e non potè veder senza sdegno che Bartolommeo la desse in moglie al poeta Marullo. Quindi la collera del Poliziano dovette accendersi vie maggiormente; ed ei la sfogò non solo nelle lettere già accennate, ma più ancora in un epigramma in cui a somiglianza di quel di Orazio contro il liberto Mena