Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/125

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TF.nzo j33g il poeta Antonio d’Asti, che, come altrove abbiam detto, nel 1429 studiava in Pavia, parla del Vegio, come di professore dell’arte poetica. Rechiamo l’elogio ch’egli ne fa, poichè non l hanno avvertito gli scrittori della Vita del Vegio (Script rer. ital. vol. 14, p 1013.): Hic erat et Vegius doctissimus ille Poeta, Qui mihi non parvo junctus amore fuit. Qui cum vidisset, quae dicto tempore ad ipsum L’ilro tam juvenis carmina pauca dedi, Me fuit hortatus, monuit me motus amore, Ut doctis operam) versibus usque darem; Cum fieri possem fama praestante Poeta, Si Musas aliquo tempore prosequerer; Ille meos animos tantum his hortatibus auxit, Ut me scribendi ceperit acer amor, Condendique modos. Posthaec idcirco modorum Temporibus variis millia multa dedi; Quae si quid laudis tribuerunt, si quid honoris, Sique dedere umquam commoda grata mihi, Confiteor, Vegio debenda est gratia Vati, Prima poetandi qui mihi causa fuit. Deesi però confessare che non se ne trova menzione negli Atti da me più volte citati di quella università. A’ tempi adunque soltanto di Eugenio IV fu il Vegio chiamato a Roma, ove ebbe le onorevoli cariche di segretario de’ Brevi, e poi di datario, e ove caro a quel pontefice, non meno che a Niccolò V di lui successore, visse sino al primo anno di Pio II, cioè fino al 1458, in cui venuto a morte fu onorevolmente sepolto nella chiesa di S. Agostino e nella cappella di s Monica, cui egli devotissimo dell’uno e dell’altra avea nobilmente ornata facendo innalzare un magnifico sepolcro