Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/124

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>338 LIBRO Nondimeno per ubbidire a suo padre coltivò ancora la giurisprudenza, la quale gli piacque bensì per la gravità e per 1’eloquenza degli antichi giureconsulti, ma non potè mai indursi ad esercitarla nel foro Molti scrittori appoggiati all’autorità di Rafaello Volterrano hanno affermato ch'ei fosse chiamato a Roma, e fatto datario dal pontef Martino V (*). Il P. Gianningo e il Sassi han provata con molti argomenti la falsità di questa opinione e il secondo singolarmente, producendo due lettere dello stesso Vegio, ha dimostrato che non solo l’an 1431, in cui morì Martino V, ma ancora nel 1433 egli era in Pavia. Il Sassi pensa però, che il Vegio fosse in Pavia solo in qualità di scolaro. Io credo al contrario ch’ ei vi fosse ancor professore prima di poesia, poi di giurisprudenza, e me ne persuade la lettera del Vegio a Bartolommeo Capra arcivescovo di Milano pubblicata dal Sassi, che così comincia: Si forte, admiraris, Praesul Sanctissime, quod ego, qui in studiis Poetarum versatus sum. nunc ad Legum traditionem me convertam, ec. Le quali ultime parole mi sembra che intender si debbano di cattedra da lui sostenuta. Inoltro (*) Nella Descrizione dalla Basilica Vaticana pubblicata iu Roma nell’anno da due eruditi beneficiati di essa, lìatacllo Sìduue e Antonio Martinetti, si all’erma di nuovo che Mafìeo Vegio fu datario sotto Martino V, e canonico di S. Pietro, e si promette di recarne le pruove in due bolle di Niccolò V nel Ionio secondo ilei 13ullario della stessa Basilica. Io ho vedute le dette due bolle (Bali. Basii. Va tic. I. a, p. I "20, ritti, ma in esse Maffeo è dello bensì canonico, ma non datario.