Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/164

Da Wikisource.

• 3^8 LlliRO gegno, e, ciò che è in Ini più ammirabile, sì gran coraggio nel verseggiare all' improvviso, e sì rara memoria, se pur tali non sono stati Gio~ vanni Pico della Mirandola, Ermolao Barbaro patrizio veneto j e Lippe fiorentino il Cieco. Dio immortale! di quante cose parlò e disputò egli con noi e in tempo del pranzo, e levate le mense! e con qual eleganza, e con qual gravità e con qual grazia, con quale ingegno, con quale eloquenza per ultimo e con qual senno! Nè solo della sacra letteratura e de' divini misteri, ma ancor di qualunque scienza profana. Ma ciò che reconne maggior piacere, e che ci parve più ammirabile, fu il vedere con qual felicità di memoria ei ripetesse non sol le cose che gli eran più famigliari e più note, ma quelle ancora che una volta sola avea lette. Che dirò io della vita ch'ei conduce? Secondo l esempio di molti antichi, fuggendo dallo strepito e dalla turba, si è procacciato un piacevol ritiro in una solitaria villa, ove dimenticate tutte le altre cose, tutto il tempo da lui si impiega con somma fatica allo studio della filosofia e all’ intelligenza delle cose divine; il che appena è mai che si vegga in un giovane. Con una non più udita facilità, improvvisa in versi al suon della cetera così in italiano come in latino a qualunque argomento gli venga proposto. Finalmente, com' ei medesimo amichevolmente. mi disse, invitato da alcuni principi con ampie promesse alle lor corti, ha rigettate le loro offerte, parendogli cosa vile ed indegna, che chi ama la filosofia si renda schiavo, ec. Poichè il Bosso fu tornato a Verona, gli scrisse