Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/200

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«4*4 LIBRO re Mattia, Aurelio uè recitò l’orazion funebre e toruosseue poscia in Italia. Apostolo Zeno, non so su qual fondamento, aggiugne (Diss. voss. t. 2, p. ìq'Ò) che prima di passare alla corte del re Mattia, ei sosteneva la stessa cattedra in Firenze coll’annuo stipendio di 12.5 scudi. Dopo la morte del re tornò, come si è detto, a Firenze sua patria, e nell’anno stesso entrò nella Congregazione di Lombardia dell’Ordine agostiniano nel convento di s Maria a S. Gallo nella suddetta città; e il P. Calvi nelle sue Memorie storiche dello stesso Ordine riferisce parecchi decreti assai onorevoli ad Aurelio fatti ne’ capitoli di quella Congregazione dal i4t)4 fino al 14i?7XXVI. Il nuovo genere di vita intrapreso da Aurelio gli diè occasione di esecitar dal pergamo quella eloquenza che finallora insegnata avea dalla cattedra. Benchè cieco, molte città d’Italia furon da lui onorate colla sua predicazione, e con quale applauso il dimostrano le molte testimonianze degli scrittori di que’ tempi riferite o accennate dal co. Mazzucchelli. Il più luminoso tra tutti gli elogi è quello che ne ha fatto Matteo Bosso canonico regolare in una sua lettera, la quale non sarà, io spero, discaro a chi legge, ch’io qui rechi distesamente tradotta nella volgar nostra lingua, anche perchè in essa si parla a lungo del raro talento di Aurelio nell improvvisare, Io ti racconterò, scriv egli a Girolamo Campagnola cittadino padovano (Epist. famil. 2, ep. 75), cosa non più udita e che ti desterà maraviglia e stupore. Abbiam qui in Verona udito di fresco profilare