Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/309

Da Wikisource.

TERZO l5a3 XXVI. Più altre circostanze della vita del Filelfo io ho passate sotto silenzio sì per amor di brevità, sì per non trattenermi in ripetere quanto già hanno scritto gli autori da me citati. Ciò che ne ho detto, basta a mostrarci qual uomo egli fosse. Un’avidità insaziabile di denaro, per cui non temeva d’importunare con lettere or l’uno or l’altro dei’principi italiani e de’ loro ministri, e per cui lasciavasi trasportare a maldicenze e a villanie contro coloro che o gli negavan soccorso, o promesso non glielo attendeano; una certa incostanza che non l’ avrebbe lasciato fermare stabilmente soggiorno in qual che fosse città, se il comando e la forza non l’ avesse talvolta arrestato; un animo insofferente di riprensione, per cui dichiarava guerra a chiunque non approvasse le cose sue, furon per certo macchie non picciole che oscuraron di molto la fama di un uomo per altro sì dotto. Oltre più pruove che già ne abbiamo vedute, racconta Gioviano Pontano (De Serm. l. 5, c. 1), che mentre predicava in Milano S. Bernardino da Siena, il Filelfo ardì di motteggiarlo per modo, che eccitò l’odio di tutti i Minori, non solo contro di se medesimo, ma, come suole avvenire, contro tutti i professori di belle lettere. Deesi confessar nondimeno a qualche scusa di lui, che comunemente ei fu assalito, non assalitore; e che vergognossi ei medesimo dei trasporti a cui avealo condotto la sua passione (l. io, rp. 52). Ma checchessia de’ difetti morali, ei fu uomo di grande ingegno e d’indefessa applicazione allo studio, come ci pruovano le moltissime XXVI. Su«* 0|MT*.