Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/460

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16^4 ' LIBRO questo secolo, ne recherò qui un passo tratto dalla predica nel primo dì di quaresima, secondo l'edizione italiana nel 1553 in Venezia, senza punto alterarne l’ortografia non che le parole. Quante infermità nascono de li corpi humani per troppo cibo, assai; et ancora non manzare da ogni ora come bestia. Io addimando perchè ha ordinato Dio et la natura el cibo all’ homo. O tu che innanzi cibo vai alle botte, non l’ha ordinato per mantenere la natura, che l’homo non manchi? Manzando adunque fuori di necessità, tu fai contra la natura, perchè tu cerchi la morte da te stesso. Dicetimi un poco, Signori miei. Donde nascono tante et diverse infermitade in gli corpi humani, gotta, doglie di fianchi, febre, catharri. Non d altro principalmente se non da troppo cibo, et esser molto delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, et non te basta, ma cerchi a noi conviti, vino bianco, vino negro, malvagie, vino de tiro, rosto, lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandole, fiche, uva passa, confetione, et empj questo tuo sacco de fecce. Empite, sgonfiate, allargate la bottonatura, e dopo el mangiare va, et buttati a dormire come un porco. Ecco l’eloquenza de’ Demosteni e de’ Tullj del secolo xv, ed ecco l’oggetto dello stupore e degli applausi non sol del volgo, ma ancor de’ più dotti. Tanto eran a que’ tempi limitate e ristrette le idee che si aveano della eloquenza. Vii. Gli altri Ordini religiosi ebbero anch’essi non pochi oratori, i cui sermoni furono allora creduti degni di venire a pubblica luce.