Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/167

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PRIMO l53 Egli, olire alcune badie, ebbe in premio dal re Francesco il vescovado di Grasse nel 1534, di cui non potè godere che circa due anni (V. Gallia christ. t. 3, p. 1175). Se ne hanno alle stampe alcune Poesie latine da lui composte in età giovanile, e stampate poco innanzi alla morte. Io non le ho vedute; ma le lettere poc’anzi accennate sono scritte con eleganza, benchè talvolta senza quella facilità che forma il miglior pregio d'uno scrittore. XLVI. Dalle cose dette finora è manifesto abbastanza che nel corso di questo secolo mai fu priva l'italiana letteratura di appoggi, di stimoli e di ricompense; e noi la vedremo in fatti stendersi per ogni parte rapidamente, e germogliarne copiosi e lietissimi frutti. Nondimeno se noi udiamo alcuni degli scrittori che allor viveano, per poco non siam tentati di credere ch'essi fiorissero al tempo dei’ Longobardi. Paolo Manuzio fra gli altri bramava di esser vissuto ne' secoli addietro, ne’ quali, dic’egli, i principi tutti onoravano del lor favore le lettere, laddove a suo tempo essi d’altro non si dilettavano che d’inezie e di frivolezze: Vetus illa Principimi viro rum benignitas exaruit: inania plerique sequuntur; nihil solidum amant nihil magnificum, nihil illustre Musae ubique locorum algent, neglectae ab iis, qui fovere eas ut maxime poterant, ita maxime debebant (l. 4 ep. 36). Questo passo sembra indicarci che al Manuzio più felici del suo paressero i secoli precedenti. Altrove però ei ristringe la sua invidia a’ tempi di Leon X: Habuit istam gloriam, dic'egli (l. 7, ep. 1), proxima superior aclas,