Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/168

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• "4 LIBRO vtun Jlorerent illi viri, de quibus nulla posteritas con tic e se et. /lembi, Sadoieti, Poli, et ho rum vcl aemuli, vel imi tutore s, multi Tunc industriam benignitas excitabat, fructus laborem sequebatur, ad opes, ad honores aditus patebat Nunc obsolescit splendor omnis Romanae linguae, et desti tuta praemiis migrat ad exteras nationes eloquentia. Così scriveva il Manuzio nel! 1565, quando I’Italia avea in ogni sua provincia tai principi 7 la memoria de quali è rimasta, e sarà sempre gloriosa ne fasti delle lettere e delle scienze, per la beneficenza con cui le promossero, e vedremo altrove che il Manuzio stesso ne fu a parte. Ma questa non è cosa a stupirne. Un uom difficile e querulo, se in qualche occasione gli sembra di non essere abbastanza ricompensato, sfoga il suo mal talento, si augura di essere vissuto a tempi migliori, e tutti gli paion migliori che quello a cui vive. Ciò ch è più leggiadro a vedersi, si è che quasi al tempo medesimo un altro scrittore, cioè il Doni, antiponeva di molto la sua età a quella di Leon X. Perciocchè egli parlando dell Ariosto, e del poco fruito clfei trasse dal suo poema, così fa il Mondo, dice (Zucca, p. 105), degli uomini: non gli conosce mai, se non quando gli ha perduti. Vedi, come, stava il povero Ariosto, uomo eccellente: leggi i suoi scritti, e vedi, se il mondo lo conosceva. Se risuscitasse oggi, ogni Principe lo vorrebbe appresso, ogni persona l onorerebbe. Così il secolo stesso secondo la diversa indole di ciascheduno, o ancora secondo le circostanze diverse in cui si ritrovano, sembra ad alcuni oggetto di'invidia, ad altri di