Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/169

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PIUMO |55 abbonimento. Non deesi dunque giudicar solo da’ loro detti ma debbonsi chiamare i fatti ad esame. Or noi abbiam veduto poc’anzi, e vedrem nel decorso di questa Storia innumerabili pruove dell’animo splendido e liberale de’ principi italiani in ogni parte di questo secolo verso le lettere, e perciò niuna forza aver dee presso un uom saggio il lamento di qualche non mai pago scrittore. E a dir vero, se il fiorire delle belle arti è proporzionato comunemente a’ premii ad esse proposti, come non vi ebbe mai secolo in cui l’Italia vantasse sì gran numero di eleganti e dotti scrittori, così ci è forza affermare che per essa non vi ebbe mai secolo sì fecondo di mecenati. Chiudiam questo capo col recare in pruova di ciò che ora si è detto, la testimonianza di un erudito straniero, cioè di Dionigi Lambino, che venuto in Italia alla metà di questo secolo stesso, non potè non ammirare la sceltezza e la copia de’ rari ingegni di cui ella era allora ricchissima: Cum in optimo quoque Scriptore, dic egli (praef'. ad Op. Cicer.), et Graeco et Latino evolvendo ac. legendo aliquot annos in Gallia consumpsissem, in Italiam profectus sum acerrimis ingeniis semper florentem, ex qua orti eruditissimi homines terras onmes Immani tatù participes, immortali sui nominis gloria paulo ante aetatem nostram compleverunt, Bembi, Sadoleti, Bonamici, si mas aci, Vietarli, Casae, Pantagathi, Manutii, Faerni, Sirleti, Sigorii, Zanchii, Comenduni, Robortelli, Luisini Taurelii, Panvinii, Ursini. Bargaei, sexcenti alii. E a ragione egli aggiugne queste