Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/445

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SECONDO non ebbe? o che qui ancora avvenisse ciò che sovente veggiamo, che, ove si tratta di un infelice, ogni cosa gli si volga a delitto? Certo è che Alberto Pio presso i più saggi di quell’età fu avuto in conto d’uomo non solo dotto, ma ancor virtuoso, e vaglia per tutti la testimonianza del Sadoleto che scrivendo nel 1528 al cardinale Giovanni Salviati, lo prega di recare i suoi saluti ad Alberto, homini, dice (Epist. famil. t 1, p. 225), omnibus ingenii, et virtutis ornamentis praedito. E in altra lettera scritta al medesimo Alberto nel 1530, con cui gli manda il suo Comento sul Salmo XCIII, lo esorta a sofferir con costanza così le sue avversità, come i dolori della podagra che aspramente il travagliavano, e a cercarne il sollievo nella sua stessa virtù (ib. p. 344)Ma la virtù non gli fu scudo bastante contro l iniqua fortuna. Da alcune lettere del Castiglione (Castigl. Lett. t. 2, p. 106, 113) e del Bembo (Bembo, Op, t 3, p. 217) raccogliesi che nel 1526 erasi conceputa speranza che Carlo V, placato a favor di Alberto, fosse per rendergli il principato. Ma la speranza fu vota d’effetto. Ei trovossi in Roma nel sacco del 1527, e fu con Clemente VII rinchiuso in Castel S. Angelo. Quindi, come si trae da una lettera di Erasmo (t 2, ep. 995), fu dal pontefice inviato in suo nome al re di Francia, e accolto amorevolmente da quel sovrano grande estimatore dei’ dotti, e mantenuto a quella corte, ivi finì di vivere, avendo tre giorni innanzi alla morte vestito l abito di s Francesco, nel gennaio del 1531, in età di cinquantanni, come si afferma nella lapida che