Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/489

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SECONDO 4^5 reggendo che la Chiesa romana riconosceva che vi erano abusi da riformare, ne menaron trionfo; come se i Cattolici venisser con ciò a confermare le accuse che lor venivano date; e non riflettevano che da questi abusi medesimi nasceva la più valida apologia della Chiesa romana. Perciocchè nè tali abusi appartenevano al dogma, o alla natura delle ecclesiastiche leggi; e per togliergli, altro non si faceva che rimettere in vigore le antiche costituzioni per lungo tempo mal osservate. Ma ciò non ostante credette Paolo III che quella scrittura non dovesse rendersi troppo pubblica, benchè al tempo medesimo ponesse mano a riformare in gran parte gli abusi in essa indicati, come poscia felicemente si compiè nel concilio di Trento. Intorno a ciò, e alle calunnie che all’occasione di quella scrittura apposero i novatori alla Chiesa romana, è degna di esser letta una lettera del cardinale Querini a Giangiorgio Schelhornio, in cui confuta di passo in passo quella che questi avegli scritta su tale argomento (Epist. dec. 5, ep. 4). Frattanto veggendosi chiaramente che ad abbattere l’eresie non era abbastanza efficace la progettata riforma, si prese la deliberazione di raccogliere un concilio generale. Nel primo capo del precedente libro si è già da noi accennata la storia di quella sì memorabile adunanza; nè giova il dirne più oltre. Sarebbe anzi qui luogo opportuno a parlar di coloro tra gl’ Italiani che in essa dierono pruove del lor sapere; ma a ciò solo richiederebbesi un ampio volume, e io debbo qui più che altrove cercar di restringermi entro