Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/156

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13c8 LIBRO ili Leon X avea colà condotti, e meritò perciò di aver luogo nell’ elegia di Francesco Arsilli De Poetis urbanis, di cui diremo altrove. In fatti benchè Adriano VI nel dargli un beneficio si dichiarasse che volentier gliel dava, perchè era 110111 dotto e scrittor elegante, ma non poeta (Jov. in Vita Hadrian. VI), alcuni versi però se ne hanno nella Raccolta Coriciana. Lo studio principale del Giovio fu allora quel della storia; e abbiam già udito con quanto applauso e onore ne fosse accolto il principio da Leon X. Questi gli diè per metà un di quei posti da cavaliere che seco portavano annessa una pensione, e ne avrebbe probabilmente avute più ampie ricompense, se quel magnanimo pontefice non fosse stato da immatura morte rapito. Adriano VI gli tolse il dono di Leone, ma invece gli conferì un canonicato in patria, con patto, come si è detto, che di lui parlasse onorevolmente nelle sue Storie. E innoltre volendo il papa mandare a Federico duca di Mantova il bastone e lo stendardo di capitano di Santa Chiesa, destinò il Giovio a portarglielo, come questi racconta in una sua lettera inedita a D. Ferrante Gonzaga, di cui ho copia. E il Giovio non mancò di parola, perciocchè nella Vita di quel pontefice il loda quanto più può, e come meglio può ne copre i difetti. Ma come se a nulla più ei fosse tenuto verso il suo benefattore, ne parla altrove con gran disprezzo, e singolarmente nel libro De Piscibus romanis, nel cui principio lo dice uomo stupido e affatto inabile agli affari. Abbiamo altrove parlato del