Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/462

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I G l 4 LIBRO in Roma, l’Alcionio sdegnato contro il ponte fice, da cui pareagli di essere trascurato, gittossi nel partito de’ Colonnesi; ma poco an. presso, in età ancor fresca, diè fine a’ suoi giorni: uom che sarebbe stato forse uno dei’ più illustri nella repubblica delle lettere, se il difetto di disprezzare e di mordere molti de’ più eruditi, non gli avesse eccitato contro l’odio loro comune, e se co’ vizii, da quali non seppe difendersi, non avesse oscurate le glorie al suo ingegno e al suo sapere dovute. Di essi parla il conte. Mazzucchelli, e ne reca le testimonianze degli scrittori di que’ tempi, alle quali deesi aggiugnere quella di Pierio Valeriano che un’altra taccia gli oppone troppo più grave delle altre, dicendo ch’ egli morì con quella irreligione medesima con cui era vissuto: Atque ut in am de pietate nostra melius sensisset nec vi tao Jìneniy quod indignissimum et homine literato, infidelitatis labe contaminas set (De infelicit Liter. t. 2, p. 63). Oltre le traduzioni già mentovate, abbiamo dell’Alcionio il celebre Dialogo de Exilio scritto con molta eleganza, ma che ha data occasione al Giovio, e più chiaramente a Paolo Manuzio, di accusarlo qual plagiario, come s egli avesse in esso rifusi i libri de Gloria di Cicerone da lui trovati in un monastero di monache, di cui era medico, e da lui poscia soppressi, perchè non rimanesse memoria e monumento di questo suo furto. Noi abbiam esaminata a lungo cotale accusa, e abbiamo dimostrato ch’essa non ha alcun probabile fondamento (t. 1). Più inverisimile ancora ne sembra 1111