Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/703

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TF.RZ0 > 855 iiinti meglio di lui conosceva le sue sventure. Muovono al pianto alcune delle lettere inedite da lui scritte a D. Ferrante. In una scritta da Napoli a 24 di ottobre del 1588, Fui già, dice, molti anni sono, sempre, infermo, et hora sono parimenti, se non più, perchè sin hora il maggior giovamento, ch'io conosco da la'Medicina, è il non andar peggiorando. Nondimeno in una età già inclinata, in una complessione stemperata, in un animo perturbato, in una fortuna avversa. poco si può sperare senza miglioramento, e molto temere, che l fine de miei travagli non debba esser la prosperità, ma la morte. Risorgo alcuna volta da questi nojosi pensieri, quasi da un mare, tempestoso, e mi pare di veder non solo un porto. ma due. E non potendo prender quel della Filosofia, come vorrei, non debbo ricusare d entrar nell'altro, dove hanno fine tutte le humane miserie, e desservi sospinto Andrò fra pochi giorni a' bagni di Pozzuolo, o (d Ischia, ne quali è riposta l'ultima speranza. Piaccia a Dio, che la povertà non sia impedimento a questo rimedio. Da altre di dette lettere si raccoglie che alcuni cavalieri napoletani aveano. progettato di unirsi insieme per assegnare al Tasso una provvisione di trenta scudi al mese. Ma non pare che il lor disegno avesse effetto. L ultimo ricovero del Tasso fu presso il Cardinal Cinzio Aldobrandini, il quale pensò di dare un onorevol compenso alle tante sventure di questo grand uomo col farlo coronare solennemente nel Campidoglio. Ma questo ancora mancava a render il Tasso sempre più infelice, ch'ei non