Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/712

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i864 libro sembra evidente che l autor dell Orlando abbia assai più viva e più feconda immaginazione che fautore della Gerusalemme. Per ciò che appartiene all’energia de’ racconti e alla vivacità delle descrizioni, io non so qual effetto produca in altri la lettura di questi due poemi. Quanto a me, io confesso che i racconti del Tasso mi piacciono, mi allettano e, dirò così, mi seducono; così sono essi graziosi e per ogni parte contorniati e finiti. Ma que’ dell’Ariosto mi rapiscono fuor di me stesso, e mi accendon nel seno quell’entusiasmo di cui son pieni; sicchè a me non sembra di leggere, ma di vedere le cose narrate. Il Tasso mi pare un delicato vaghissimo miniatore in cui e il colorito e il disegno hanno tutta quella finezza che può bramarsi; PAriosto mi sembra un Giulio Romano, un Buonarroti, un Rubens che con forte ed ardito pennello mi sottopone all’ occhio, e mi fa quasi toccar con mano i più grandi, i più passionati e i piò tcrribi li oggetti. Benché PAriosto medesimo, ove prende ad usare più delicato pennello, il maneggia in modo che non cede ad alcuno. Angelica che fugge, Olimpia abbandonata, e cento altri passi a lor somiglianti, che nell’Orlando s’incontrano, possono stare al confronto con quanto di più leggiadro ci offrono le Muse greche e latine. Non dee però dissimularsi che le narrazioni dell’Ariosto non sono sempre ugualmente piacevoli, e che talvolta languiscono e sembran quasi serpeggiare per terra, e che quelle del Tasso son più sostenute e più uguali. Ma oltrecchè fu questa forse un’arte dell’Ariosto, per